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Dopo il successo della «settimana corta» nel Regno Unito, si aprono spiragli anche in Italia?

Meno stress, maggiore produttività, più ricavi.
Si è trattato di un esperimento semestrale, limitato a sole 61 aziende, per un totale di circa 2900 lavoratori dipendenti in tutto il Regno Unito, ma i risultati sulla “settimana corta” sembrano essere incoraggianti. Al punto che anche in Italia la Fim Cisl ha chiesto di aprire un confronto sulla possibilità di attuare adottare il modello della settimana lavorativa di quattro giorni su sette anche nel nostro Paese.

La stragrande maggioranza delle aziende che hanno preso parte alla più grande prova al mondo sulla settimana corta ha scelto di continuare con il nuovo modello, che evidentemente sembra funzionare. 56 su 61 hanno infatti esteso la prova e di queste 18 l’hanno resa permanente.

I sondaggi sul personale condotti prima e dopo il test rilevano che il 39% dei dipendenti sostiene di essere meno stressato: il 40% dorme meglio, il 54% afferma che era più facile bilanciare il lavoro e le responsabilità domestiche. Il numero di giorni di malattia durante la sperimentazione è diminuito di circa due terzi e il 57% in meno dei dipendenti ha lasciato le aziende rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Se i dipendenti si sono detti meno stressati, le prestazioni aziendali durante il periodo di prova non sono calate. Anzi, i ricavi sono perfino aumentati leggermente: +1,4%.

Dato il successo di questo esperimento, Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl, ha chiesto di aprire a un confronto sulla settimana corta anche nel nostro Paese, in modo da «ripensare gli orari aziendali e ridurli non contro la competitività aziendale ma ricercando nuovi equilibri e migliori risultati».

«Non si tratta di ridurre gli orari in modo generico come nel secolo scorso – ha spiegato – ma di rendere il lavoro maggiormente sostenibile e flessibile verso i bisogni delle persone significa rendere i posti di lavoro più attrattivi, in una epoca dove tanti lavoratori, soprattutto giovani di talento, stanno cambiando posto di lavoro e le competenze si muovono nel mercato del lavoro».

Si aprono spiragli anche in Italia?