Quando a 19 anni, appena finita la maturità, Sara è partita per l’Australia, voleva affinare l’inglese, vivere e lavorare da sola, prendersi un anno sabbatico per scegliere quale percorso universitario intraprendere una volta tornata in Italia. Se fosse mai tornata. Dopo 8 anni passati all’esterno alla fine è tornata, a Milano, dove oggi lavora alla sua startup ed è riuscita a ritagliarsi uno spazio in un settore “prevalentemente maschile e tradizionalista”.
Sara Lini, 30 anni, sorride quando ricorda di aver sempre sognato di partire. “Non aspettavo altro: in terza elementare dicevo a tutti i miei amici che sarei andata via appena finite le superiori”. Così, quando il suo paesino di 3.000 abitanti in Franciacorta ha cominciato a starle stretto, Sara ha capito che era arrivato il momento. “Ma ho comunicato ufficialmente ai miei genitori che sarei andata in Australia solo dopo aver comprato il biglietto aereo: sono sempre stata una ragazzina ribelle e indipendente”, ride. Per il primo anno della sua vita all’estero, così, Sara guida un van e si sposta lungo la linea costiera australiana, mentre svolge i lavori più disparati: dalla scaricatrice di pesce al porto di Darwin, alla giardiniera a Perth, fino alla responsabile di una roadhouse dispersa nel deserto, ricorda a ilfattoquotidiano.it. Dopo le esperienze zaino in spalla tra Indonesia e Thailandia, nel 2014 si trasferisce a Berlino, dove approccia all’industria del travel lavorando per un anno presso l’allora startup GetYourGuide.)
Il mondo del lavoro come lo descrive Sara, in Germania, è “paradisiaco”: gli stage erano “retribuiti con un minimo salariale elevato (1.200 euro)”, era immersa un ambiente “bellissimo, con una cucina per ogni ufficio, frutta fresca ogni giorno, colazione per tutti”; ma anche tutorship, orario di lavoro flessibile, gerarchia piatta e team di lavoro molto giovane. “Berlino mi ha fatto capire l’importanza di creare un ambiente di lavoro positivo – racconta – dove le persone possano essere serene e trovare equilibrio con la vita privata”.
Sara è sempre stata appassionata di design, nonostante una carriera di studio diversa, con una laurea in Scienze Politiche e Internazionali all’Università di Bologna. Quando si trasferisce a Madrid, nel 2016, sogna un futuro nella cooperazione internazionale. È in Spagna che la giovane lombarda sviluppa insieme al compagno, Adriano, un’idea imprenditoriale: un’azienda di gestione di affitti brevi conto terzi. In pochi anni, grazie al lavoro di un team composto da 12 persone, la startup è arrivata a gestire più di 100 appartamenti nella capitale spagnola. Così, nel 2019, decide di rientrare a Milano, per replicare il format.
Nel 2020 nasce la startup di Sara e Adriano, Nativo, concentrandosi questa volta sulla gestione di immobili di pregio. “Sono tornata per la voglia di vivere in Italia ed essere vicino alla famiglia e agli amici. Milano era l’unica città che potevo immaginare come destinazione possibile: sono rimasta entusiasta del clima che si respirava, molto positivo, di ispirazione e frizzante. Tutti parlano di business – continua –. È una città molto dinamica che richiama giovani da tutta Italia che hanno voglia di fare, quindi ho deciso di tornare”.
A volte le viene chiesto come ha fatto a finire nel campo immobiliare avendo seguito un percorso universitario diverso: “È stato un susseguirsi di scelte e passioni che poi si sono trasformate in lavoro – spiega Sara –. Bisogna rischiare, uscire dal percorso prestabilito e seguire l’istinto, aprendo la partita iva o affittando quel laboratorio – ad esempio – anche quando non abbiamo ancora la lista di clienti certi”.
In un settore prettamente maschile, inoltre, all’inizio c’è stata “molta difficoltà” a essere presa sul serio. “È semplice essere sminuite e schiacciate all’interno di questo mondo, anche se la situazione sta migliorando. Ho dovuto lavorare molto sulla fiducia in me stessa, e continuo a farlo”. Essendo donna, continua, “ho sempre dovuto lavorare il doppio per essere considerata al pari di un uomo qualsiasi del settore”. Anche in Spagna il mondo dell’immobiliare era prettamente maschile, ricorda Sara, ma “il dialogo sulla parità di genere si trova a uno stato più avanzato”. In Italia alcune discriminazioni “le ho sentite più forti”, come quando non si viene prese in considerazione nel parlare di ristrutturazione con i tecnici, o per la frequenza di commenti inadeguati. “Bisogna essere forti e alzare la voce –aggiunge – per sé e per le altre: ci vuole impegno per cambiare le cose”.
In Germania Sara ha conosciuto, con la sua estrema vivacità, il mondo delle startup, “molto diverso da quello in Italia o in Spagna”. A Madrid l’accoglienza è stata incredibile, le relazioni con le persone del posto sono state profonde e durature. E l’Italia? “Amore assoluto”, risponde: Sara ama gli italiani, lo stile di vita, il cibo, le bellezze e la cultura. Tra dieci anni si immagina con tre figli, tre cani e in giro per il mondo per aprire altre sedi della sua startup. Il consiglio che si sente di dare ai ragazzi come lei è quello di buttarsi e non avere paura di rischiare: “Noi giovani spesso facciamo le cose solo quando abbiamo delle sicurezze. Servirebbe una propensione al rischio più elevata e l’accettazione del fallimento come parte integrante di qualsiasi percorso. Io – conclude – non me ne sono andata perché non mi piaceva l’Italia: volevo semplicemente conoscere il mondo”.
L’articolo Storia di Sara e della sua startup: “Dopo 8 anni all’estero (tra Australia, Germania e Spagna) ho deciso di tornare a Milano” proviene da Il Fatto Quotidiano.