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Il “Mostro di Milano”: c’è un filo che lega otto delitti irrisolti. La svolta dopo 50 anni

“Quando ti alzavi al mattino, facevi il segno della croce e ti dicevi: chissà se questo letto mi rivedrà anche stasera”: a dirlo oggi è Fabio Miller Dondi, ex investigatore di Polizia, a Milano, negli anni ’70 quando la città meneghina era tutt’altro che tranquilla. Il detective era tra gli ospiti della puntata di ieri del programma Rai “Far West” che ha dedicato uno speciale a un presunto “Mostro di Milano”, tracciando una connessione tra otto delitti irrisolti avvenuti a cavallo tra anni ’60 e ‘70. Crimini dai tratti molto simili, per cui verrebbe da domandarsi se portano tutti la stessa, ancora del tutto ignota, firma.

Milano criminale
Prima che si trasformasse nella patinata Milano “da bere”, la città lombarda era governata dal caos: erano all’ordine del giorno gli scontri tra studenti e guardie, fascisti e antifascisti, con giovani vittime lasciate a morire sull’asfalto infuocato. “Se non avevi con te una sbarra di ferro o delle chiavi inglesi da spaccare sulle teste dei passanti o degli avversari non eri nessuno”, ha spiegato alle telecamere Gianni Giordano, ex dirigente della questura milanese e figura iconica di quei tempi. C’erano le grandi bande criminali in cui iniziò la sua carriera il noto Vallanzasca ed in questo contesto probabilmente è nato anche un serial killer ancora ignoto,il mostro di Milano. “Gli otto omicidi in questione sono avvenuti tutti in uno stretto raggio di azione”, ha detto l’avvocato Walter Biscotti che assiste le famiglie delle vittime. “Erano tutte ragazze, è difficile non parlare di un mostro”.

Il delitto Dossena
Una delle vittime che potrebbe far riaprire il caso è Adele Margherita Dossena: non era una vittima comune. Dossena è la madre dell’attrice che negli anni ’80 ha calamitato con il suo fascino lo sguardo degli italiani: Agostina Belli, protagonista di film come “Profumo di donna” nel 1974. Un successo eternamente adombrato da questo truce delitto: la Dossena, che all’epoca dei fatti aveva 54 anni e gestiva una pensione frequentata perlopiù da studenti, fu massacrata a coltellate. Ed è proprio grazie a sua figlia che si potrebbe arrivare a una svolta nelle indagini a distanza di 50 anni. La Belli, con l’aiuto di un criminologo, ha recuperato dei reperti dalla scena del crimine: resti di un telefono che sua madre aveva in casa e che, durante la colluttazione fatale, si è frantumato in 30 pezzi immersi nel sangue. Ma insieme al sangue ci sono anche del Dna e della peluria. Oggi, grazie a mezzi investigativi più avanzati rispetto ad allora, si è potuto identificare il profilo di un “ignoto numero uno” che potrebbe essere quello del killer. Per cercare di risolvere questo e molto probabilmente anche altri casi, è stata presentata istanza ai giudici del tribunale di Milano. A ipotizzare per primo che dietro a questi crimini ci fosse la stessa mano omicida, è stato il criminologo Franco Posa.

Il mostro e le sue vittime
Se davvero esiste o è esistito un Mostro di Milano, qual è stato il suo modus operandi? La prima vittima è stata Olimpia Drusin, assassinata il 25 novembre del 1963. Si prostituiva, come molte delle vittime. Poi c’è stata Elisa Casarotto, detta “la Betty dei camionisti”, assassinata il 5 maggio del 1964. Dai documenti risultava pettinatrice ma in realtà aveva iniziato a prostituirsi anche lei. Era molto amica della Dossena. Caso archiviato anche il suo, senza colpevoli. La terza vittima è stata Alba Maria Letizia Trosti, uccisa il 3 ottobre del 1969. Di giorno era ambulante, di notte si prostituiva in via Torino. Poi c’è stata Adele Dossena. La vittima numero cinque è stata Salvina Rota, uccisa il 15 giugno del 1971. Aveva smesso di prostituirsi quando è stata uccisa, aveva trovato un lavoro in un grande magazzino. Tiziana Moscadelli è stata ammazzata nella notte tra l’11 e il 12 febbraio del 1976. Anche lei vendeva il proprio corpo tra i parchi Sempione e Ravizza. Valentina Masneri, 25 anni, è stata assassinata il 17 marzo del 1975. Lei, a differenza delle altre, era una stilista e lavorava dell’Anic. Era sposata con un fotografo e fu proprio lui a ritrovare il suo corpo senza vita, nel loro appartamento. Negli ultimi tempi era molto timorosa, aveva paura potesse accaderle qualcosa di tragico, Sarebbero da indagare i suoi eventuali legami con le altre donne. Sono abbastanza chiare le analogie tra le donne: molte delle vittime si prostituivano e tutte sono state trucidate con numerose pugnalate, l’assassino non ha risparmiato colpi a nessuna di loro. Questo è quello che nel gergo si chiama overkilling: una quantità di ferite che va ben oltre l’intento di portare alla morte.

Il profilo del Killer
Tutto ciò che sappiamo del serial killer di Milano riguarda la sua psiche. Il medico legale Carlo De Rosa ne ha delineato i tratti essenziali: “Quasi tutti i colpi erano diretti al volto, quasi a voler togliere l’identità a queste vittime”. Questo dettaglio mai emerso prima, potrebbe svelare il profilo psicologico del serial killer che sembrerebbe corrispondere a quello di un “missionario” che è ciò che si dice di un assassino seriale che nella sua psiche deviata, e fortemente malata, è certo di uccidere perché animato da un intento nobile e giusto. In questo caso, è evidente: il mostro di Milano voleva liberare il mondo dalle prostitute. Queste donne, percepite come il male assoluto, andavano quindi annientate, polverizzate: non bastava ucciderle. Tutte sono state uccise con la stessa furia per mano di un killer mancino ed è tutto ciò che sappiamo.

Il Delitto della Cattolica
Tra le otto donne assassinate, annoverate come vittime del mostro di Milano, c’è anche anche Simonetta Ferrero, protagonista suo malgrado del “Delitto della Cattolica”. Simonetta fu uccisa con una lama di 15 centimetri da cui partirono 33 coltellate il 24 luglio del 1971 nei bagni dell’Università che lei stessa aveva frequentato fino a due anni prima, la Cattolica, dove si era laureata in Scienze Politiche e dove forse era tornata solo perché di strada e aveva necessità di utilizzare una toilette. Il suo mondo era distante anni luce da quello delle altre vittime, a prescindere dal fatto che appartenessero o meno a un giro di prostituzione. Tuttavia, dall’autopsia emersero gli stessi elementi presenti negli altri casi: un’arma bianca, la tipologia delle ferite e la furia esercitata sul volto ma non finisce qui. Simonetta frequentava un cineforum in zona Porta Venezia e questo la colloca nella mappa geografica degli omicidi. L’analista del Gis Matteo Posa ha difatti evidenziato che sette degli otto reati in questione sono contenuti in 35 km quadrati, un’area decisamente ristretta a ridosso della stazione centrale di Milano. All’epoca, nessuno ha mai tracciato dei collegamenti ma oggi è ancora possibile rendere giustizia a queste donne barbaramente e assurdamente ammazzate da un folle omicida senza volto.

L’articolo Il “Mostro di Milano”: c’è un filo che lega otto delitti irrisolti. La svolta dopo 50 anni proviene da Il Fatto Quotidiano.

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